"L’Instituto della Madre suor Francesca" nel monastero di Santa Maria della Provvidenza a Fara in Sabina: eredità spirituale e materiale
DOI:
https://doi.org/10.5617/acta.11395Abstract
Suor Francesca Farnese, al secolo Isabella, apparteneva a un ramo della famiglia dei Farnese, quella dei Duchi di Latera e Farnese. La sua educazione fu affidata alle suore Clarisse di San Lorenzo in Panisperna e, dopo averla completata, fece ritorno in famiglia, ma, dopo pochi mesi, sentì il richiamo della vita monastica. Secondo una prassi tipica della santità eroica barocca, fu protagonista di un travaglio interiore che la portò sempre più verso un crescente rigore, proponendo un modello di sé di difficile condivisione nei monasteri romani. Nel quadro della Roma barocca suor Francesca si affermò in qualità di riformatrice dell’ordine di Santa Chiara e di committente di quattro monasteri distribuiti sul territorio laziale. In questo ambizioso progetto, la Farnese fu sostenuta dal cardinale Francesco Barberini, nominato dal 1638 protettore dell’ordine riformato, ma anche da nobildonne romane che trovarono in lei un modello da imitare. Il progetto della Farnese fu interrotto dalla sua morte avvenuta nel 1651, ma la sua eredità fu raccolta dal cardinale protettore, Francesco Barberini, che si fece artefice della costruzione di un altro monastero, l’ultimo in ordine di tempo: il monastero di Santa Maria della Provvidenza a Fara in Sabina, che ebbe un ordinamento dalle caratteristiche speciali, poiché vennero fuse le disposizioni dei padri francescani di San Pietro d’Alcantara della provincia napoletana con le Costituzioni di suor Francesca. Queste prescrivevano l’abolizione dell’accoglienza di zitelle, la proibizione di ricevere visite, anche di parenti stretti, o di avere notizie dall’esterno. La vita spirituale doveva essere dominata dalla centralità del rapporto dell’individuo con Dio; un posto speciale era riservato al silenzio. Il cardinale Barberini nominò le Solitarie eredi universali al momento della morte nel 1679.
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